La vita è bella, la vita del prete è più bella di don Livio Costagli
Alla prima lettura questa autobiografia appare come una fedele cronistoria, quasi stenografica, della vita di un prete con la meticolosa registrazione di date e di avvenimenti pastorali. In realtà si tratta di un viaggio dello spirito; un viaggio che conduce ad un vissuto di continua scoperta della divina presenza, che nulla lascia d’intentato e nulla al caso abbandona e con perseveranza tutto trasforma e rianima a testimonianza della sua Provvidenza.
“E’ solo con il cuore che si può vedere nel modo giusto” (Antoine De Saint-Expery), e queste pagine rivelano il canto di un cuore illuminato da cui traluce quella serena e mistica saggezza, che sa cogliere il significato salvifico delle vicissitudini di un’esistenza umana.
Il richiamo alla memoria si intreccia con la serena immagine dell’infanzia; il primo sbocciare della vocazione e “la mia ordinazione sacerdotale, fu lo sentii, può scrivere don Livio, il grande segreto per cui ero nato” e poi il sentimento d’unione con coloro che ti hanno messo al mondo, cullato, guidato. E rivedere come in uno specchio, il paese natio; le tradizioni, le chiese.
E la struggente nostalgia nella memoria dei luoghi familiari della missione parrocchiale; i ripensamenti, l’eco delle voci amiche, delle campane a festa.
Sullo sfondo si intuisce la rappresentazione nell’intimo dell’Assemblea Cristiana: questi uomini, queste donne, questi giovani, venuti da tutte le strade, da tutte le case! Essi rappresentano l’umanità. E in mezzo a loro, uno solo si fa avanti, uno solo sale all’altare. Le anime lo assediano. La sua vita è piena per ciascuna.
E quest’uomo, il sacerdote, che purifica l’universo nel sangue di Cristo e lo rende gradito agli occhi del Padre, è un ministro d’unità e di pace.
Il prete è una sorgente di meraviglia, per cui monsignor Livio esprime la lucida consapevolezza che i due aspetti più caratteristici della carità divina nel cuore di un sacerdote sono la gratitudine e la misericordia.
Due aspetti essenziali del bilancio di una lunga vita sacerdotale, vissuta nella certezza che Qualcuno si è aggiunto a lui e questa persona misteriosa lo lavora incessantemente, tanto da “potere tutto in Colui che lo fortifica”.
“Quanto sono amabili le tue dimore, Signore degli eserciti” (Salmo 83, 2-3).
Le memorie del Proposto sono traboccantidi un profondo anelito a Dio e della gioia grande che non è l’esaltare in se stessi, ma nel Dio che dà la vita.
La mia vita di ministro di Dio, che mi ha chiamato per amore, sembra dire, è bella e piena d’incanto ed è stata condotta con la testimonianza resa a tutte le anime che vivere è camminare alla luce di un Dio fatto uomo, il cui volto è Pace, la cui Parola è Vita, il cui amore è gioia.
La bellezza dell’essere sacerdote infatti pervade tutte le pagine di questo libro, divenendo il valore unificante di tutte le vicende di un lungo e fruttuoso ministero.
In altre parole la vocazione come sacrificio gioioso e come convincimento che la missione della Chiesa è precisamente di ritrovare “la fonte delle gioie perdute” (Bernanos)
Il valore più alto che toglie il prete dalla sua solitudine e gli dona l’ebbrezza gioiosa di un’amicizia divina.
E affidando l’onore di stendere la prefazione alle sue memorie all’ex scolaro, non parla di morte ma di attesa fiduciosa della risurrezione finale laggiù in quel camposanto di Santa Croce sull’Arno dove riposano tante anime da lui curate.
Mi viene allora di ripensare ad una celebre pagine di Dostoevskj: “Senza dubbio risorgeranno, senza dubbio ci rivedremo e con gioia, con allegrezza ci racconteremo allora tutto ciò che è stato. Ah come sarà bello!” (Fratelli Karamazov)
Penso che a don Livio si possono applicare le parole pronunciate da Pio XII: “… animato dallo spirito del Cristo, spinto dal suo amore, cercando e non cercando che Lui e la sua gloria, l’accrescimento del suo Regno e la salvezza di fratelli e sorelle, sia nella Chiesa, sia fuori di lei… disposto a quell’impegno totale, incondizionato, disinteressato, senza il quale non si farà niente di grande e di decisivo”.
Don Ferdinando Santonocito
E la terra volle che toscano fosse il contadino
INTRODUZIONE
di Manuela
Maccanti
In questo libro a parlare sono
il ricordo e la memoria, filtrati dal tempo, le esperienze vissute e cucite
addosso sulla pelle. Storie legate alla terra, raccontate con tanta pazienza e
con nostalgico entusiasmo per i ‘tempi
che furono’ da oltre venti persone, i cui nomi sono riportati nell’indice e nei
capitoli interni. Sono tutti uomini e donne che vivono a Cerreto Guidi,
Fucecchio, Empoli, Vinci, Larciano, Lamporecchio, le cui testimonianze dirette
sono importanti per loro stessi, ma soprattutto per gli altri, che leggendo
potranno conoscere, capire e rivivere il nostro passato.Ho cercato di
ricostruire, in maniera omogenea, questo documentario, patrimonio culturale inestimabile
e inestinguibile e proprio perché tale, meritevole di essere ricordato e
mantenuto. La speranza è di poter
ripercorrere una tappa fondamentale
della nostra storia, la cultura contadina. Passando attraverso le abitudini,le
tradizioni, gli aneddoti curiosi di vita quotidiana, i metodi di lavorazione
agricola,l’impiego dei buoi fino ad arrivare ai primi trattori.
Società e cooperazione a Fucecchio dal 1874 al 2004 nella ricerca del prof. Antonio Casali
Realizzata nel 2005 in occasione del 90° anniversario della nascita dell'attuale Cooperativa di Consumo a Fucecchio (Fi), ne ricorda la storia, le motivazioni sociali che ne determinarono la nascita, la grande indomita lotta di tanti compagni e amici che videro nella cooperativa un caposaldo di difesa delle classi subalterne, di sviluppo e di progresso democratico, sociale e culturale, di auto-organizzazione dei lavoratori.
La ricerca e il testo sono del prof. Antonio Casali, la nota introduttiva di Luciano Menichetti, presidente della sezione Soci Unicoop di Fucecchio.
Pagine 192, formato 15x21 con indice dei nomi.
50059 il Codice di VInci
I suoi superiori e colleghi, per ammorbidire questo "forzato" distacco, invece della solita bicicletta, gli avevano regalato un bel viaggio ai Caraibi. Essi, sapevano che per lui, il viaggio, rappresentava una delle sue mete preferite, il sogno di una vita. Lo scoglio da superare, per andare in pensione, era rappresentato dall'ultima lettera da spedire. Mancava il codice di Vinci e l'anziano postino non poteva ricordarseli tutti a memoria. Da quando la nuova tecnologia, (i computer) avevano fatto l'ingresso in quell'ufficio, erano spariti tutti i manuali cartacei.
Volta, non sapeva far funzionare, quelle moderne macchine e decise così, di lasciare il compito, al nuovo postino, il quale, sarebbe giunto il Lunedì successivo.
"Quel ragazzo che verrà, è più giovane di me, saprà senz'altro, trovare tra tutti questi bottoni, il codice di Vinci!" Pensò Volta.
Un altro problema, nacque successivamente, anche per attaccare il Franco-bollo sulla busta.
Infatti, Volta, aveva bagnato troppo, quel piccolo capolavoro, da apporre sul lato alto a destra della busta. Egli sapeva bene, che il francobollo inzuppato d'acqua, non si sarebbe mai attaccato.
In preda ad un gesto di rabbia, colpì ripetutamente con il pugno, il francobollo, fino a che, non si accorse, che del sangue le stava uscendo dalla mano.
Dopo poco, anche il dolore, si fece sentire sulla mano insanguinata.
Aprì l'armadio, alzò il vocabolario e c'infilò sotto la busta.
La speranza era, che, mentre il francobollo si asciugava, la pressione del vocabolario, lo avesse tenuto incollato alla busta. Infine Volta, scrisse quell'indovinello sul post-it, per il postino, che lo avrebbe sostituito, dal Lunedì successivo.
Risolvere l'indovinello, significava, riuscire a trovare la busta da spedire e completarla con il codice di Vinci necessario alla spedizione.
Era certo, che il nuovo arrivato, avrebbe capito, che quel lavoro, come ogni mestiere, deve essere fatto, anche con il sorriso sulle labbra.
Anche questa volta, terminerò la prefazione con una citazione:
"Non v'è libro tanto cattivo, da non essere in qualche parte utile."
A me il Codice da Vinci è stato utile… ad inventare questa simpatica storia.
Mauro Arzilli, nato a San Miniato il 22 Gennaio 1970.
Ha pubblicato:
Nel 2003 "I polli che si spennavano a mano".
Nel 2004 "L'utente non è al momento raggiungibile".
Nel 2006 "50059 Il codice di Vinci"
Ha pubblicato:
Nel 2003 "I polli che si spennavano a mano".
Nel 2004 "L'utente non è al momento raggiungibile".
Nel 2006 "50059 Il codice di Vinci"
Chi 'un risica un rosica. Una storia d'imprenditoria toscana lunga più di mezzo secolo
Un'azienda storica fiorentina, da più di cinquant'anni è leader nel campo delle automazioni. Fondata da Carlo Alberto Pratesi nel 1958, la Imer di via Scialoia a Firenze si è evoluta e consolidata, e dopo tre generazioni è pronta ad affrontare la sua mission con alle spalle una tradizione aziendale costruita sul valore del lavoro, della formazione, della sicurezza su uno spirito imprenditoriale intelligente, arguto, attento ai segni dei tempi. Ieri come oggi.
Nella ricostruzione del giornalista Fabrizio Mandorlini, le vicende aziendali si intersecano con le storie familiari e il contesto economico, politico, sociale e culturale della Toscana.
Pagine 128, prefazione di Cosimo Calamini.
L'altalena
Grazia Belli Tempestini è nata a Pontedera (Pisa) risiede a Casteldelbosco, una graziosa frazione nel territorio di Montopoli Val d'Arno in provincia di Pisa.
Ha collaborato alcuni anni fa, per la narrativa, alla rivista "Confidenze" edita da Mondadori, pubblicando storie d'amore. Svolge la sua attività professionale nel settore amministrativo-import del gruppo Piaggio & C. Spa di Pontedera.
Pagine 144, formato 15x21. Illustrazioni di Elena Barsotti.
“Il tempo… ieri, oggi, domani, in vesti diverse è sempre lo stesso – Spiega Grazia Tempestini “Passato, presente, futuro… l’alfa e l’omega, principio e fine… non sono altro che diramazioni di un’unica sorgente, la sorgente della vita. La vita è un fiume più o meno tortuoso e alla fine del viaggio tutte le direzioni confluiscono nel mare, grande, immenso che accoglie e restituisce. Dal cielo l’acqua cade sulla terra così la vita, dopo il pellegrinaggio terreno, ritorna al cielo per vivere una nuova dimensione, nello spazio e tempo infinito”.
PREFAZIONE
La stagione più ricca di profumi, sapori, emozioni, affetti
indelebili senza ombra di dubbio è l’infanzia.
Conoscenze, esperienze, la stessa percezione del
meraviglioso mondo esterno, i contatti, il rivelarsi delle persone agli occhi
curiosi e attenti di quando siamo bambini, fanno parte di quel bagaglio di
ricordi che, viaggiando nella vita, ci portiamo appresso e anche se vecchio e
polveroso, l’affezione è così grande che non riusciamo mai a staccarcene.
I nostri ricordi, convivono in noi, fanno parte del nostro
passato, sono le nostre radici.
E quando, a distanza di anni, capita di osservare un
oggetto, una persona oppure in un momento di solitudine, di nostalgia, o per
qualche strana coincidenza, si percorre la strada a ritroso, frugando nel
nostro bagaglio, ecco ci appare uno scorcio lontano, un luogo a noi caro e lo
vediamo in tutte le sue note cromatiche, così vero, così nitido, come togliendo
improvvisamente il telo da un quadro e la scena di colpo illuminata, ci appare
nel suo insieme rivelando i dettagli più nascosti, quelli che pensavamo
dimenticati.
Nell’infanzia, tempo e spazio sono dilatati, le giornate
sembrano non avere mai fine. Le strade, gli interni delle case, ogni oggetto,
ogni cosa, ci appaiono così grandi e così carichi di significato. Niente sfugge
allo sguardo acuto di un bambino, ogni gesto, ogni sfumatura si fissa nella
memoria fino ad improntarne la sua crescita.
Il desiderio struggente di crescere, di diventare adulti è
forte nell’infanzia.
Chi da piccolo non ha guardato i più grandi desiderando che
il tempo passasse in fretta per poterli presto imitare?
Da bambina spiavo mia madre in camera davanti allo specchio.
La guardavo mentre si passava il rossetto sulle labbra o quando delicatamente
si stendeva la cipria profumata sul volto. Inebriata dall’odore dolciastro di
quella polvere finissima, per meglio respirarla, facevo in modo di avvicinarmi
a lei e furtiva, mi riempivo i polmoni della gradevole fragranza. Fingevo di
giocare e con la coda dell’occhio, carpivo i gesti ritmici e lenti del suo
braccio mentre la spazzola affondava morbidamente fino a sparire nelle lunghe
onde dei suoi capelli corvini. Infine osservavo le sue dita scivolare
sapientemente sui fianchi, per un ultimo tocco al vestito. Coglievo il suo
sorriso riflesso nello specchio, quella nota di personale approvazione
nell’intima contemplazione della sottile figura. Incantata da quel cocktail di
civetteria e femminilità, appena non mi vedeva, la imitavo, sognando un giorno
di poter anch’io uscire di casa col viso truccato, i tacchi alti, le unghie
laccate.
La vita è fatta così. Da ragazzi si rincorre il sogno di
diventare presto adulti immaginando chissà quale speciale destino o incantevole
avventura a noi riservata, e da grandi, una volta saliti sul treno in corsa, la
velocità imposta da un automatismo impietoso, non permette rallentamenti, le
soste non sono ammesse e nell’angolo più recondito del nostro cuore, capita,
talvolta, di sentirsi traditi, come se qualcosa di essenziale nel corso degli
anni ci fosse sfuggito e la sensazione che qualcosa sia rimasto appeso,
sospeso, non pienamente vissuto o realizzato, permane. O forse, ahimè! il
trascorrere veloce degli anni non ci ha lasciato il tempo per viverli. Si pensa
allora con infinita nostalgia a quando eravamo bambini, al tempo migliore che
ci siamo lasciati alle spalle ma che, all’epoca, non eravamo in grado di
assaporare, di apprezzare appieno la gaiezza di quei giorni sereni.
Nell’infanzia, emozioni, sensazioni, la valutazione stessa
degli episodi può risultare alterata, come è altrettanto vero che si riesce
meglio a giudicare, a cogliere l’importanza, il senso degli avvenimenti,
analizzando l’esperienza vissuta a posteriori.
Penso all’estate, alle vacanze…. Nella vita frenetica di
oggi, la stagione estiva ci piomba addosso, tra i tanti affanni, che quasi non
ce ne accorgiamo. Sfumano in un lampo i giorni di svago, e di relax e torniamo
alla nostra routine domandandoci se veramente siamo andati in vacanza o se è
stata solo una pura illusione, un sogno, una breve parentesi, appena una
boccata d’ossigeno prima di re-immergerci nella folle corsa della vita. E ogni
anno puntualmente riaffiorano i ricordi delle lunghe, spensierate estati della
mia infanzia.
L’autore
La lettura del libro ispira le stesse sensazioni e gli
stessi sentimenti che si possono provare sfogliando un album di fotografie in
bianco e nero. La narrazione dell’autrice, ricca di particolari e di raffronti
tra il modo di vivere degli anni ’60 e la nostra epoca, ben rappresenta i cambiamenti repentini della nostra società. La riflessione che ne
scaturisce ci induce a fermarci un attimo per pensare se veramente lo stile di
vita che abbiamo intrapreso grazie all’avvento di tutte quelle innovazioni tecnologiche
e di costume, che confeziona su misura dell’individuo il modello della
perfezione da clonare all’infinito, sia in definitiva ciò che effettivamente ci
fa star bene.
Il racconto autobiografico, ambientato in parte in un
piccolo borgo medievale dell’entroterra pisano ed in parte in una località
marina, evidenzia con nitidezza le differenze tra le due comunità: mentre in
campagna l’esistenza continua a scorrere seguendo i rigidi canoni tramandati da
generazione in generazione, dove la comunità vigilava sulle azioni della
singola persona e gli anziani
sovrintendono alla conduzione della famiglia, imponendo ferree regole di
vita, al mare comincia a diffondersi una mentalità più aperta e spensierata.
La bambina, che soggiorna in queste due località durante le
vacanze estive, pur non trascurando i giochi ed i coetanei, è attratta dal
mondo degli adulti e da tutto ciò che le appare arcano. In particolare è
affascinata dalla personalità della zia più giovane, che sa trasmetterle con
semplicità, valori importanti quali la saggezza, l’amore ed il rispetto. Molto spesso negli anni successivi farà
ricorso a quel bagaglio di esperienze,
per forgiare la sua personalità, così
come riuscirà a comprendere con
chiarezza taluni concetti solo dopo che avrà maturato in sé maggiore consapevolezza sui veri valori
della vita.
Propongo pertanto a chiunque desideri scoprire o riscoprire
un periodo storico un po’ lontano, ma ancora presente nei pensieri di chi ha
avuto l’opportunità di viverlo, la lettura di questo bel libro, frutto di
intensa, appassionata e nostalgica riflessione sul ciclo della vita.
Buona lettura.
Alessandra Vivaldi
Sindaco del Comune di Montopoli in Val d’Arno
Un libro che parla di Chianni e che vuole essere un omaggio
ad alcuni personaggi del passato e a Chianni.
Immagini, sogni, ricordi di adolescenti: i giochi sulla
strada, i colori, i sapori, la natura, il lavoro di tanta gente, la vita
familiare vissute in questo piccolo Paese.
I vari scorci di luoghi ed angoli, fotografati nella memoria
di una ragazza che si pongono, allora come oggi, di identità per tutto il paese
e dove si ritrova la comunità, che dal passato cerca di trarne risorse nuove
per costruire il futuro.
Tante memorie e valori
che Chianni vuole conservare per la sua gente.
Colgo l’occasione per ringraziare l’autrice di questo libro
che ha raccolto un pezzo di se stessa, arricchendo le nostre conoscenze sulla
collettività, che ci ha preceduto di un cinquantennio ed ha prodotto un altro
pezzo del mosaico della memoria storica.
Suo presupposto è che la storia è fatta anche di
accadimenti quotidiani di piccolo
respiro.
Si tratta di un’occasione per Chianni ed in particolare per
la sua gente di riflettere sulle proprie radici e sul proprio futuro.
Francesca Mancini
Sindaco del Comune di Chianni
I' cognome della Rosa
Prefazione dell'autore Mauro Arzilli.
La maggior parte delle battute ironiche, avvengono perché la lingua italiana, si presta molto, a dare diversi significati ad una stessa parola.
Per esempio, dai cappuccini e dai frati in carne e ossa, si passa ai cappuccini e ai frati delle colazioni al bar.
Una volta trovato il doppio significato, mi sono messo in cerca di una storia che trattava di cappuccini e di frati in carne e ossa.
Non è stata una ricerca difficile, perché il più celebre a livello mondiale è "Il nome della rosa".
Così, come per "Il codice da Vinci", anche per "Il nome della rosa", ho creato una sorta di parodia.
La storia è ambientata in un piccolo borgo di campagna dove, le poche case, fanno riferimento all'unico ritrovo, il bar.
I protagonisti di questa storia, sono persone che non hanno alcun riferimento nella realtà, anche se, ho cercato di carpire qualche vizio e virtù qua e la. A parte qualche eccezione, questa storia è un po’ meno mitologica del solito. Il racconto parla delle iniziali difficoltà scaturite dal colpo di fulmine tra la giovane Rosa e Felice. Non vorrei anticiparvi niente sul racconto, ma dopo alcune storie, che avevo terminato con un finale amaro, questa volta, avevo deciso di terminare, con un lieto fine.
Speriamo, che il Correttore di bozze non abbia cambiato il finale rendendolo purtroppo, più triste.
Anche in questa occasione, terminerò la prefazione, riportando una citazione di Karamzin, Nikolaj Michajlovic (scrittore russo, 1766-1826).
Mauro Arzilli, nato a San Miniato il 22 Gennaio 1970.
Ha pubblicato:
Nel 2003 "I polli che si spennavano a mano".
Nel 2004 "L'utente non è al momento
raggiungibile".
Nel 2006 "50059 Il codice di Vinci"
La mia posta elettronica è: a.mauro2003@libero.it
Roffia, Una famiglia tra leggenda e storia
Prefazione al volume di Giacomo Conti
Questo libro discende da un’attenzione molto forte nei confronti della storia e del patrimonio storico artistico di San Miniato che, a sua volta, dipende dalla consapevolezza che nella riscoperta e nella valorizzazione della storia e delle espressioni artistiche risieda una chiave di volta importante per la società contemporanea. Il lavoro dello storico consente, infatti, di disvelare le “radici” della contemporaneità ed esse ci restituiscono il processo di formazione della nostra identità attuale. Un’identità che non si può esaurire nello spazio (a ritroso) di un secolo o poco più – tanta è la porzione di passato mediamente recuperabile attraverso le memorie familiari- ma che deve necessariamente riconnettersi alla prima fucina della realtà europea di oggi: il Medio Evo.
Epoca ambigua, controversa, ancora non del tutto purificata, nella percezione comune, dai preconcetti illuministici che la identificavano con l’era “oscura” delle coscienze, soggiogate da una Chiesa che si voleva feroce ed autoritaria, da un Impero che si interpretava come tirannide sanguinaria, da un sistema sociale, infine, di cui si raccontavano soltanto le barbarie e le crudeltà. Preconcetti illuministici, dicevamo, perché di falsi giudizi si trattava, messi su ad arte per giustificare l’anticlericalismo ed il repubblicanesimo antimonarchico di quanti – tragica ironia della storia – finirono per superare, in quanto a intolleranza ed a terrore, l’aborrita Inquisizione, l’aborrito Impero, gli aborriti regni romano-barbarici.
C’è stato bisogno di un secolo e mezzo di storiografia per restituire al Medio Evo, anzi ai vari Medi Evi, il suo effettivo spessore: non di età di mezzo, non di età, appunto, oscura, si è trattato, bensì del lungo periodo di gestazione e di formazione dell’Europa occidentale.
La nostra città, San Miniato, fu frutto di quell’epoca, fu connessa con gli artefici più significativi ed importanti della storia del Pieno e del Basso Medio Evo e basti, a questo proposito, semplicemente accennare al fondamentale ruolo svolto dall’Imperatore Federico Barbarossa per la nascita stessa di San Miniato.
Va da sé, dunque, che San Miniato sia profondamente ancorato al Medio Evo, per quanto concerne la sua fisionomia più propriamente politica e civile, e dalla Prima Età Moderna, per quanto concerne invece il perfezionamento della sua “facies” ecclesiastica: al 1622 risale, infatti, l’elevazione dell’abitato a diocesi e la conseguente ascrizione al rango di “civitas”, di città.
Un libro come questo si inserisce, dunque, all’interno di un percorso intellettuale ben preciso: il progressivo raffinamento della conoscenza storica per il motivo di cui sopra e per la consapevolezza che un’adeguata valorizzazione delle vestigia del passato possa coniugarsi con l’imprenditoria più moderna ed attuale, contribuendo al consolidamento ed alla crescita dell’economia locale. Ma la valorizzazione dei monumenti e dei documenti del passato è impensabile senza storia, senza il lavoro dello storico.
In particolare il testo che oggi vede le stampe si occupa di storia sociale. Ricostruisce, quindi, la storia di San Miniato utilizzando un angolo prospettico molto preciso, ovvero la storia di una famiglia che, per un lungo periodo, ha costituito un’asse portante dell’assetto sociale sanminiatese: i Roffia.
Rintracciando e, poi, inseguendo le tracce dei membri di quella stirpe, i due autori ai quali è stata affidata la ricostruzione storica, ci consentono di penetrare “nel vivo” di un sistema di accreditamento sociale e di vera e propria scalata al potere inaugurato e perseguito da una casata di San Miniato. Un sistema che si dimostrò vincente perché risultò perfettamente calibrato, di volta in volta, sulla realtà coeva e che, per un certo lasso di tempo, sembrò quasi inarrestabile, perché fu sorretto da una consapevolezza assoluta dell’identità familiare. Per mezzo delle vicende Roffia, insomma, riusciamo a penetrare i “segreti” e le “strategie” di quanti, in passato, formarono l’élite sociale della loro epoca.
Senza entrare nel merito del lavoro in sé, perché deve essere letto per venire apprezzato, è doveroso aggiungere che esso si configura come il risultato di una sinergia tra persone e professionisti diverse e che ha potuto vedere la luce perché si è giovato di numerosi apporti. Il progetto fu infatti redatto da un giornalista scrittore, Riccardo Cardellicchio, uomo attento alla storia ed alle storie come può esserlo chi della cronaca , ha fatto la propria professione per lunghi anni. Furono poi incaricati due storici, Roberto Boldrini e Isabella Gagliardi, perché verificassero la fattibilità del progetto e, una volta verificatala, perché lo concretizzassero. Essi, rilevando la lacuna storiografica relativa ad una famiglia tanto significativa come i Roffia e, rassicurati dalla consistenza dell’archivio della casata, conservato per la maggior parte presso l’Archivio Comunale di San Miniato, si sono dunque messi al lavoro, cooptando per la parte letteraria una giovane e promettente laureata fiorentina, Pamela Giorgi. Si è rivelata, quindi, importantissima per la riuscita del progetto la collaborazione offerta dall’archivio comunale, nella figura del suo direttore Roberto Cerri, ma anche dell’Archivio dell’Accademia degli Euteleti, nella figura del suo direttore Luca Macchi.
A questo proposito è da sottolineare un ultimo elemento: San Miniato ed il suo territorio sono ricchi di storia e di patrimonio storico documentario e storico artistico ed ogni iniziativa tesa alla loro valorizzazione non può che essere auspicata e sovvenuta seguendo una linea di intervento culturale che, crediamo la Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato ha rintracciato con decisione e coerenza già da molto tempo.
Rintracciando e, poi, inseguendo le tracce dei membri di quella stirpe, i due autori ai quali è stata affidata la ricostruzione storica, ci consentono di penetrare “nel vivo” di un sistema di accreditamento sociale e di vera e propria scalata al potere inaugurato e perseguito da una casata di San Miniato. Un sistema che si dimostrò vincente perché risultò perfettamente calibrato, di volta in volta, sulla realtà coeva e che, per un certo lasso di tempo, sembrò quasi inarrestabile, perché fu sorretto da una consapevolezza assoluta dell’identità familiare. Per mezzo delle vicende Roffia, insomma, riusciamo a penetrare i “segreti” e le “strategie” di quanti, in passato, formarono l’élite sociale della loro epoca.
Senza entrare nel merito del lavoro in sé, perché deve essere letto per venire apprezzato, è doveroso aggiungere che esso si configura come il risultato di una sinergia tra persone e professionisti diverse e che ha potuto vedere la luce perché si è giovato di numerosi apporti. Il progetto fu infatti redatto da un giornalista scrittore, Riccardo Cardellicchio, uomo attento alla storia ed alle storie come può esserlo chi della cronaca , ha fatto la propria professione per lunghi anni. Furono poi incaricati due storici, Roberto Boldrini e Isabella Gagliardi, perché verificassero la fattibilità del progetto e, una volta verificatala, perché lo concretizzassero. Essi, rilevando la lacuna storiografica relativa ad una famiglia tanto significativa come i Roffia e, rassicurati dalla consistenza dell’archivio della casata, conservato per la maggior parte presso l’Archivio Comunale di San Miniato, si sono dunque messi al lavoro, cooptando per la parte letteraria una giovane e promettente laureata fiorentina, Pamela Giorgi. Si è rivelata, quindi, importantissima per la riuscita del progetto la collaborazione offerta dall’archivio comunale, nella figura del suo direttore Roberto Cerri, ma anche dell’Archivio dell’Accademia degli Euteleti, nella figura del suo direttore Luca Macchi.
A questo proposito è da sottolineare un ultimo elemento: San Miniato ed il suo territorio sono ricchi di storia e di patrimonio storico documentario e storico artistico ed ogni iniziativa tesa alla loro valorizzazione non può che essere auspicata e sovvenuta seguendo una linea di intervento culturale che, crediamo la Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato ha rintracciato con decisione e coerenza già da molto tempo.
"Quasi un diario" nei ricordi e nei pensieri di Annunziata Costagli
"L'intento di questo libro - quasi un diario - come sottolinea l'autrice Annunziata Costagli, è di ringraziamento verso il Signore, di tutto quello che mi ha dato, dalle meraviglie che ha operato nella mia vita fino ad oggi, il mio futuro è nelle sue mani, la certezza di questa mia serenità è e sarà la forza del suo amore che è iniziato quando sono nata.
Il puzzle della mia vita è già a buon punto e mi permette di avere già molte risposte alle mie domande e i perchè che mi hanno accompagnato nella vita. Sono contenta della vita che ho avuto fin da piccola, dove anche se in tenera età, ho respirato aria di semplicità , di rispetto, di pace, dove ho appreso non con le parole ma seguendo l'esempio e il comportamento delle presone che mi stavano vicine". I ricordi della Zia Armida e dello zio don Livio Costagli, proposto di Santa Croce per tantissimi anni, sono il filo conduttore che ha ispirato il ricordo di Annunziata Costagli.
Nota introduttiva di Ferdinando Santonocito.
Crescere nello sport per crescere nella vita, il Centro Sportivo Italiano in provincia di Pisa
A cura di Fabrizio Mandorlini, racconta in 160 pagine i sessant'anni di storia del Centro Sportivo Italiano nella provincia di Pisa. Note introduttive dei vescovi +Alessandro Plotti, e +Fausto Tardelli, di Andrea Pieroni presidente della Provincia di Pisa, di Alfonso Nardella presidente del Csi provincia di Pisa. Un ricco apparato fotografico d'epoca correda la pubblicazione.
Introduzione di Fabrizio Mandorlini
"Il tempo della riflessione e dei progetti è
passata. È l'ora dell'azione. La dura gara di cui parla San Paolo è in corso.
Siate pronti. È l'ora dello sforzo intenso. Anche pochi istanti possono
decidere la vittoria. Guardate il vostro Gino Bartali, membro dell'Azione
Cattolica: egli ha più volte guadagnato l'ambita maglia. Correte anche voi in questo campionato ideale, in modo da
conquistare una ben più nobile palma".
Con questa citazione in un suo discorso ufficiale
pronunciato davanti agli Uomini di Azione Cattolica in piazza San Pietro il 7
settembre 1947 Papa Pio XII definiva gli obiettivi ideali, i princìpi educativi
e le finalità morali dello sport e del Csi in particolare. Il 5 gennaio 1944, la Direzione generale dell'Azione
Cattolica approvava l'iniziativa del prof. Luigi Gedda, di intraprendere la
costituzione di un organismo specializzato per lo sport, con la denominazione
di "Centro Sportivo Italiano". Pur dichiarandosi quale prosecuzione
ideale della FASCI, la stessa nuova denominazione, nei confronti della
precedente, voleva indicare una precisa apertura apostolica verso tutta la
gioventù italiana e non più limitarsi alle sole associazioni sportive
cattoliche.
Idealmente si voleva proseguire l'esperienza della FASCI
(Federazione delle Associazioni Sportive Cattoliche Italiane), creata nel 1906
dall'Azione Cattolica Italiana e sciolta nel 1927 dal regime fascista. Nella primavera una apposita commissione, installata
dalla Presidenza centrale dell'Azione Cattolica, redige una bozza di statuto e
di regolamento organico. Nell'autunno del 1944 viene approvato il primo Statuto
del Csi, che pone a fondamento dell'azione associativa il fine di
"sviluppare le attività sportive ed agonistiche guardando ad esse con
spirito cristiano, e cioè come ad un valido mezzo di salvaguardia morale e di
perfezionamento psicofisico dell'individuo": questo sport dalla forte
valenza educativa va esteso al "maggior numero possibile di
individui". È il principio cardine dell'Associazione: il Csi è promosso da
cristiani, ma è aperto a tutti e collabora con quanti si impegnano per uno
sport a servizio dell'uomo.
La nuova associazione, che muove i primi passi in
un'Italia ancora divisa in due, afferma nella nascente Italia democratica il
diritto dei cittadini ad associarsi liberamente per praticare un'attività
sportiva. In un Paese interamente da ricostruire, dove anche gli
impianti sportivi mostrano i segni della guerra appena terminata, lo sport del
Csi si forma inizialmente all'ombra dei campanili: le sue Società sportive si
coagulano attorno agli Uffici Sportivi Diocesani e sono espressione, per la
maggior parte, di Parrocchie e Istituti religiosi.
Il Centro Sportivo Italiano è la più antica associazione
polisportiva attiva in Italia.
In tutti questi anni un impegno costante, una ragione di
fondo semplice quanto delicatamente gravosa: sostenere uno sport che vada
incontro all'uomo. Se Gedda è lo stratega della organizzazione cattolica
dello sport, è tuttavia Pio XII che ne definisce gli obiettivi ideali, i
princìpi educativi, le finalità morali. È stato scritto che Pio XII
"ultimo papa d'una chiesa ierocratica in una visione simbolica post
conciliare, è invece tra i primi, forse il primo, pienamente inserito in una
società di massa" e che "ebbe il senso vivissimo dei mezzi di
comunicazione di massa, cogliendone il potere reale e dedicando ad essi grande
cura".
Anzi si può affermare che Pio XII fece degli strumenti di
comunicazione di massa uno dei mezzi privilegiati per l'instaurazione di quella
societas christiana che costituì uno dei tratti più significativi del suo
pontificato. E certamente lo sport rientrava fra gli strumenti di
comunicazione di massa. Non a caso, nei suoi vari discorsi il riferimento allo
sport è frequente e sicuramente per assiduità non ha precedenti coi suoi
predecessori. A ulteriore conferma dell'interesse di Pio XII in materia di
sport resta anche tutta una serie di significativi episodi che inauguravano uno
stile del tutto nuovo. Nel 1946 riceveva, ad esempio, ed era la prima volta
nella sua trentennale storia, la carovana del Giro d'Italia, secondo una
consuetudine che si sarebbe negli anni ripetuta. E dieci anni dopo, nell’ottobre del 1955 quando, in
occasione del suo ottantesimo compleanno il Csi ormai organizzato in tutta
l’Italia mostra il suo lavoro e la sua azione (A quell'appuntamento il Csi si
presentava forte di un'organizzazione diffusa ormai in tutta la penisola: 17
Comitati regionali, 92 Comitati provinciali, 60 Comitati zonali, 3.000 Società
sportive, circa 80.000 tesserati), è ancora il Pontefice a esortare a fare
ancora di più: perché lo sport è fonte di beni fisici ed etici, va proposto a
tutti i giovani, anche ai più disagiati. Ai giovani dell'immediato dopoguerra
lo sport veniva proposto come un'alternativa esistenziale, cioè un ideale di
vita coraggioso, ottimista, superiore ai meri interessi e preoccupazioni
materiali: una proposta di rinnovamento totale di tutta la persona, anima e
corpo, attraverso un'attività sportiva sanamente intesa. In questa prospettiva
anche la funzione di una "associazione di categoria" come il Csi era
tracciata di conseguenza; attraverso essa la Chiesa "compie ed integra ciò
che manca ad un'idea, ad un'attività, ad un'opera, che per eccessi o per
difetti o per assenza di fondamenti ideali non siano pari, se non addirittura
contrari, alla dignità cristiana" (Pio XII). Ecco pertanto il programma
del Csi alla fine del suo primo decennio di vita, tracciato con quella famosa
espressione: "Lievito di cristianesimo voi dunque sarete negli stadi,
sulle strade, sui monti, al mare, ovunque si innalza con onore il vostro
vessillo" (Pio XII).
A far calare i messaggi di Pio XII sul territorio ci
hanno pensato i comitati provinciali del Csi, e Pisa è senza dubbio uno di
quelli che in tutti questi anni è stato più continuo ed attivo.
Sessant’anni di nomi, di volti, di società sportive, di
atleti, di sacerdoti, di vescovi tutti intenti a cercare di essere “lievito di
cristianesimo” tra i ragazzi, a formare alla vita e ai valori. Una
ricostruzione non esaustiva, quella che viene presentata, ricostruita anche
attraverso testimonianze orali, nella quale è stato tentato di ricomporre il
puzzle della memoria per sopperire agli archivi associativi, quasi inesistenti,
hanno portato a una ricostruzione a macchia di leopardo.
Ecco che la storia associativa si interseca con quella
delle società sportive, la storia di campetti attorno alla chiesa si interseca
con gli sportivi che attraverso lo sport del Csi sono diventati atleti a tutti
gli effetti, cercando di contestualizzare, nei limiti del possibile con le
vicissitudini del periodo storico.
Franco Samoggia ripercorre attraverso appunti di diario la Luciano Bausi, sindaco di Firenze, senatore e Sottosegretario. Nota introduttiva di Matteo Renzi
Luciano Bausi, fu sindaco di Firenze dal 3 novembre 1967 fino al 4 settembre 1974, poi senatore della Repubblica dal 1976 al 1992 e sottosegretario di Stato alla Giustizia dal 1983 al 1987.Franco Samoggia, attraverso un punto di vista diverso, personale, che ci fanno conoscere la figura di Bausi, cresciuto agli insegnamenti di La Pira, attraverso appunti di diario, vicende, storie e aneddoti.Note introduttive di Matteo Renzi e Giuseppe Matulli. Pagine 352 in edizione cartonata.
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